Oggi sul sito di Vanity
Fair ho trovato un articolo che suonava più o meno così “Sei più una Audrey Hepburn
o una Jessica Rabbit? Scoprilo dalle scarpe che indossi!” e ho temuto di
incappare in un test di personalità che dall'analisi degli elementi riposti
nella mia scarpiera mi avrebbe detto qualcosa in più sulla mia personalità ….
Per fortuna questa volta non era un test, altrimenti di certo non avrei
resistito a farlo. Ma mi sono chiesta, quante di noi cedono di fronte ad un
test che sulla base di una serie di domande più o meno campate in aria e più o
meno prevedibili ci possa rilevare qualcosa in più di noi stesse? Sia tra le
scettiche che fra quelle più convinte, la curiosità è troppo forte. Prevale
quella propensione all’autoanalisi tutta femminile che ci spinge a scoprire se
siamo più conigliette o pantere, più vittime o carnefici, più francesi o hollywoodiane
nel modo di vestire, più crocerossine o predatrici (e – perché no – anche un po’
meretrici???!!!) E proprio nel mentre calcoliamo il punteggio rilevatore del
nostro quid riconosciamo chiaramente
quel profilo ideale al quale vorremo corrispondere. Anche lei, la più scettica
fra noi, cede a quell'attimo di aspettativa.
E poi arriva lui - il responso - che può
confermarti quanto volevi sentirti dire o mettersi di traverso come una
minuscola lisca di pesce, piccola, insignificante ma fastidiosa …. a cui il
pensiero ritorna appena la mente si libera..
E così io, che come
avrete ben capito sono una PaRaTest (paranoica dei test – tanto per non farci
mancare nulla), mi sono trovata ad essere a turnazione “la romantica”, “la
determinata”, “la hippie”, la “Carrie Bradshaw” dei poveri, poi
“l'intellettuale”, “l'insicura”, la “Cleopatra” , “la rocker” e tanto per
concludere anche la Emma Bovary del nuovo millennio.
Di fronte a tanta varietà
di identità mi sono chiesta come sia mai possibile: sono i test un grande bluff o piuttosto soffro
io di sindrome di personalità plurima??
Ad una soluzione non sono
ancora arrivata né gli scienziati di Harvard di hanno illuminato. Tuttavia
parlandone con un collega di lavoro sono stata colpita dalle sue parole “E'
normale quello che esce fuori dai test, tu cambi stile di vestire tutti i
giorni. Una volta indossi jeans a zampa e t-shirt, poi ti vesti stile bon ton
con camicia ricamata. Un altro giorno sei professionale con tacco e giacca per
poi prendere una vena rock alla sera. Al mattino facciamo il toto vestito prima
che arrivi!!!”.
Al che ho risposto “Ma la
mia è creatività. Che c'entra con la personalità” e lui provocatoriamente mi ha
suggerito “ Sei certa? E se fosse mancanza di identità!!”
O mamma, mancanza di
identità!!?? E' dura da digerire.
Secondo voi? Il modo di
vestire è rivelatore della nostra personalità? E soprattutto voi avete uno
stile prevalente o con me condividete una smania al mattino di essere sempre
diversa, letteralmente “sorprendente”?
Anche voi conoscete perfettamente i capi “no”, quelli che non indossereste mai,
ma avete difficoltà ad identificare i capi “si”?
In tale “sindrome da
pluristile” non credo che le mode siano determinanti, reputo che oramai ci sia
una tale varietà di indumenti che per ogni collezione che se uno vuole, può
seguire le tendenze e allo stesso tempo rispettare un unico mood. E quindi?
Possibile che a 30 anni
sono ancora alla ricerca della mia identità? Sempre che i due fattori siano
collegati. Ma soprattutto il “pluristile” non può essere esso stesso rivelatore
di un modo di essere?
Ditemi la vostra, vi
aspetto ansiosa!!
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